La collezione storica di coloranti al Museo di Chimica

Tutta la storia dei colori può essere soltanto una storia sociale. E' la società che fa il colore, che gli attribuisce una definizione e un significato, che costruisce i suoi codici e i suoi valori, che stabilisce i suoi utilizzi e l'ambito delle sue applicazioni. "Blu, storia di un colore" di Michel Pastoreau

 

Vetrina della coloreria

Nel 2018 sono stati ultimati importanti e strutturali lavori di recuperto e resaturo di un armadio storico all'interno del quale sono attualmente conservati numerosi campioni di pigmenti e colori, naturali, artificali e sintetici, provenienti dal mondo naturale e dalle principali industrie di coloranti che hanno caratterizzato la storia dell'industria italiana, e non solo, dalla seconda metà del XIX fino a tutto il XX secolo.

 

Settore dei coloranti naturali: generalità

Per tingere i filati e le stoffe, l’uomo ha sfruttato fin dalla Preistoria, reazioni chimiche che sono state poi studiate e spiegate fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Così, per tingere con l’indaco ha utilizzato reazioni di riduzione per renderlo solubile e di ossidazione per fissarlo stabilmente sulla fibra; mentre per tingere in rosso, con le radici di robbia ad esempio, o in giallo, con l’arzica o i fiori di ginestra, ha fissato i coloranti sulle fibre trasformandoli in complessi, spesso di alluminio, mediante l’uso di allume di rocca.

 

Settore dei coloranti naturali

I coloranti naturali, ottenuti da piante, radici, insetti, ecc., dovevano essere fissati sui filati in modo che non venissero portati via con i lavaggi. La tintura con l'indaco, che forniva colori che andavano dal celeste al blu, veniva realizzata riducendo per fermentazione la polvere blu ad un composto giallo, solubile in ambiente alcalino, che veniva fatto assorbire dal filato o dalla stoffa. La successiva esposizione all’ossigeno dell'ambiente esterno ripristinava la struttura blu insolubile, che restava intrappolata nella fibra.

La maggior parte delle altre tinture veniva invece realizzata trasformando i coloranti in complessi insolubili, utilizzando generalmente l’allume di rocca (KAl(SO4)2), trasformato in Al2O3, insolubile, che, intrappolato nella fibra, reagiva con i coloranti “a mordente” fissandoli stabilmente.

Una tintura diversa era quella con l’oricello, in cui si utilizzava un lichene grigiastro che veniva fatto essiccare, poi pestato e immerso in ammoniaca (in passato in urina fermentata) rimescolando la poltiglia, ogni giorno per molti giorni, fino a quando si sviluppava un bellissimo colore fra il malva e il viola che ricordava quello della preziosissima porpora ottenuta da conchiglie marine. Purtroppo il colore dell’oricello non era molto stabile, perché si decolorava rapidamente per effetto della luce.

In bacheca, fra gli altri, campioni di: radici di Robbia, Kermes, Cocciniglia americana, Arzica, Roccella tinctoria, Galle di quercia, Curcuma, Legno di Campeggio, Indaco da Isatis tinctoria L. e del fondamentale allume di rocca.            

Nei diversi settori di questo armadio abbiamo voluto condensare lo sviluppo della chimica “pratica” a partire dai pigmenti naturali usati nelle pitture preistoriche e dai primi pigmenti sintetici come il “blu Egiziano” nonché della capacità dell’uomo, fin dalle epoche più antiche, di tingere in modo stabile i diversi filati come la lana, utilizzando sostanze naturali estratte da piante, insetti e conchiglie o, come nel caso dell’oricello, creando “chimicamente” un colore violaceo non presente nel grigio lichene (roccella tinctoria) e utilizzandolo per realizzare tinture simili a quelle ottenibili dalla preziosissima “porpora”, un colorante preparato, fin dal periodo Fenicio, da conchiglie del Mar Mediterraneo.

Nei diversi scomparti di questo antico armadio è evidenziato anche come l’uomo abbia utilizzato i colori delle rocce trasformandole in pigmenti da applicare con leganti naturali (ad es. miele o gomme vegetali) sulle pareti delle caverne, creando pitture che ancora oggi possiamo ammirare. Poiché non era facile trovare rocce blu, per dipingere mare e cielo venne inventato, dagli antichi Egizi un pigmento blu, sintetico, a base di rame e sabbia: il “blu egiziano”, che si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo.

             

Pigmenti e coloranti

Sono i due gruppi di materiali che l’uomo ha usato, fin dai tempi più antichi, per ricreare il colore dell'ambiente che lo circondava.

L’uomo, con i pigmenti, polveri insolubili ottenute pestando “terre” colorate, molte contenenti ossidi di ferro, ha realizzato il giallo, il marrone e il rosso delle pitture che osserviamo nelle caverne preistoriche, ricorrendo spesso, per il nero, al nerofumo che si accumulava sul fondo del vasellame usato per cuocere i cibi.

Solo dopo la scoperta del vetro, nella civiltà Egiziana, venne inventato il “blu Egizio” fondendo minerali di rame con sabbia e natron, il carbonato di sodio deca-idrato presente nell’oasi di Natron, che abbassava la temperatura di fusione della miscela portandola a valori raggiungibili con la tecnologia di quell’epoca. Queste polveri venivano, poi, applicate sulle pareti con grassi, colle, gomme, cere, ecc., che hanno consentito alle pitture di arrivare fino a noi. Non dobbiamo dimenticare che la passione dei nostri antenati per un mondo pieno di colori li portò a dipingere tombe, templi, statue e abitazioni con tutti i pigmenti disponibili, anche se noi oggi vediamo bianche tutte le colonne e le statue di marmo, a causa dell’alterazione e dell’abrasione dei pigmenti usati.

Uno dei reperti archeologici più antichi è un tessuto indiano del 3000 a.C. tinto con radici di robbia. I coloranti della robbia fanno parte della classe dei “coloranti a mordente” che devono essere fissati sulle fibre trasformandoli in complessi metallici. Uno dei leganti più usati è l’alluminio. Il complesso veniva formato trasformando l’allume di rocca (KAl(SO4)2), (da cui deriva il nome della cittadina laziale di Allumiere, ricca di miniere di allume) in allumina (Al2O3), che impregnava le fibre e formava con il colorante un complesso insolubile.

A questa famiglia di coloranti appartengono, oltre a quelli della robbia e di molte altre Rubiaceae diffuse in tutto il mondo, i rossi di Kermes, di Cocciniglia e di Gomma lacca ottenuti da insetti, il rosso di Verzino ottenuto dal legno rosso di Caesalpinia sappan e da altri alberi dell’Asia Orientale e dell’America Centro-meridionale e i gialli dell’arzica (Reseda luteola), quelli dei fiori di ginestra, ecc.

 

Settore dei coloranti sintetici

Nel 1856 William H. Perkin, un giovanissimo studente inglese del Royal College of Chemistry, venne incaricato dal suo professore, August W. von Hofmann, di trovare il modo di sintetizzare la Chinina, un alcaloide ottenuto dalle cortecce di China, che era indispensabile per curare la malaria, una grave malattia diffusa in molte parti del mondo. Perkin, nel frattempo, con uno dei suoi fratelli e un amico, creò un laboratorio nella sua abitazione e tentò di ossidare l’anilina, un’ammina aromatica ottenuta dal catrame di carbon fossile: ottenne un residuo nerastro. Invece di scartare il prodotto ottenuto, sciolse il residuo in alcol e ottenne una soluzione di colore malva molto bello. Ebbe l’idea di consegnare questo prodotto a un’industria tintoria che lo utilizzò per tingere la seta. Il risultato fu sorprendete. Perkin, brevettò questo colorante, abbandonò l’università e coinvolse tutta la famiglia nella creazione della prima industria per la produzione di coloranti sintetici. Questo colorante i francesi lo battezzarono Mauveine, da cui il nome malva, così come tutti lo conosciamo.

Da allora si moltiplicarono i tentativi di preparare coloranti sintetici, sia sintetizzando coloranti naturali come l’alizarina, presente nelle radici di robbia e l’indaco, fino alla fine dell’800 preparato da foglie e rametti di Indigofera tinctoria L., sia inventando nuove strutture, come quelle degli Azocoloranti, dei coloranti del Trifenilmetano e dei Coloranti Indantrene, dal colore molto stabile. Inoltre vennero preparati, contemporaneamente, molti nuovi pigmenti sintetici.

L’industria dei coloranti si sviluppò soprattutto in Germania e Svizzera. Molte delle più importanti industrie chimico-farmaceutiche di oggi, come la Ciba-Geigy (attualmente Novartis), la BASF, la Bayer e la Hoechst (attualmente Sanofi) sono nate come fabbriche di coloranti. D’altra parte uno degli azocoloranti fu la prima medicina attiva contro la polmonite e diede origine a tutta la famiglia dei sulfamidici, utilizzati in questo campo prima degli antibiotici.

La collezione di coloranti sintetici è molto ampia: una serie di campioni di coloranti sintetici della ditta Leopold Cassella & Co. risale al 1885, solo una trentina di anni dopo la scoperta di Perkin della Mauveina.

                                               

In diversi settori dell’espositore sono presenti campioni della più importante fabbrica italiana di coloranti che all’inizio si chiamò SIPE (Società Italiana Prodotti Esplodenti, infatti molti intermedi necessari per la preparazione dei coloranti erano utilizzabili anche per produrre esplosivi) e successivamente ACNA (Aziende Colori Nazionali e Affini). Quest’ultima venne chiusa alla fine del XX secolo per problemi di inquinamento ambientale della valle del fiume Bormida, fra Liguria e Piemonte. I diversi filati esposti sono stati tinti con coloranti prodotti da questa industria per effettuare ricerche sulla stabilità dei coloranti su filati diversi.

I campionari di tessuti tinti, qui esposti, servivano a dimostrare come si potessero ottenere certi colori riportando nel catalogo anche il colorante o le miscele di coloranti necessarie per ottenere quel risultato nonché la stabilità del colore finale in varie condizioni. Per ogni tipo di tessuto bisognava preparare un diverso catalogo perché la resa di un colorante e la sua stabilità dipendono dal tessuto su cui viene applicato.

 

Il colore blu

 

 

 

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