Pigmenti del XX e del XXI secolo

Anche in periodi a noi più vicini l’interesse per trovare nuovi pigmenti blu non è diminuito (come del resto anche per quelli di altri colori). L’evoluzione delle conoscenze chimiche sia in campo inorganico che organico, la possibilità di usufruire di metodologie più avanzate per mettere a punto reazioni prima difficili da realizzare hanno consentito anche in questo campo progressi significativi. In alcuni casi sono state svolte ricerche mirate. In altri casi, a detta degli stessi scienziati coinvolti, si è trattato di scoperte casuali, di situazioni in cui si poteva parlare a ragion veduta di serendipità, un fortunato risultato imprevisto, ottenuto mentre si stava studiando qualcosa di diverso. Naturalmente anche in questi casi occorre senso critico e fiuto scientifico per trasformare un evento inaspettato in una scoperta importante. Un esempio di ciò lo possiamo trovare nella sintesi del blu ftalo.

Nel 1928 due chimici, che lavoravano in un’industria di coloranti in Scozia, si apprestavano a preparare sinteticamente l’indaco e la strada che seguivano prevedeva come uno dei passaggi la trasformazione dell’anidride ftalica in ftalimmide.

 

 

Facendo reagire l’anidride ftalica con l’ammoniaca in un recipiente di ferro venne notata la formazione di un’impurezza di colore blu. Questa venne fatta analizzare dall’Imperial Chemical Industries (ICI) di Londra.

Il risultato fu una serie di articoli pubblicati nel 1934 sul Journal of Chemical Society che dimostravano, attraverso molti dati sperimentali, il formarsi di una struttura analoga a quella della porfirina nella clorofilla, da loro chiamata ftalocianina. Al centro dell’anello si potevano essere coordinati cationi di vari metalli come ad esempio il ferro o il rame.

A seconda del catione queste nuove sostanze mostravano una colorazione differente e le loro proprietà suggerivano il loro uso come pigmenti di elevata qualità e stabilità.

Tra essi in particolare appariva di un blu intenso la ftalocianina di rame a cui fu dato il nome di Monastral blue (adesso si preferisce però il nome blu ftalo). Questo nuovo pigmento venne immediatamente brevettato e commercializzato dall’ICI ed ebbe sin dalla scoperta un grande successo sia in campo industriale e tecnologico, che artistico.

Nel 1960 venne brevettato dal pittore Yves Klein il pigmento blu di nome International Klein Blue, con cui dipinse i celebri quadri monocromatici che caratterizzarono la sua breve carriera artistica (morì nel 1962 a soli 34 anni).

Tra i possibili colori egli scelse in particolare il blu, anzi quella particolare sfumatura di blu che era il blu oltremare, che l'artista definisce “l'espressione più perfetta di blu… la verità, la saggezza, la pace, la contemplazione, l’unificazione di cielo e mare, il colore dello spazio infinito…  l’invisibile che diventa visibile”.

Klein però pensava che il pigmento asciutto avesse una luminosità e una intensità che si perdevano in parte con gli usuali leganti utilizzati per stenderlo sulle superfici. La sua ricerca quindi, svolta in collaborazione con Edouard Adam, titolare di una ditta di coloranti parigina, fu dedicata alla ricerca di un legante più idoneo. Questo venne alla fine individuato in una resina sintetica, il Rhodopas M, prodotta dall’industria chimica Rhone–Poulenc, che Klein diluì con una soluzione di alcol etilico e acetato d’etile, ottenendo quindi come detto l’International Klein Blue (IKB).

Con esso egli produsse molte opere e performances artistiche in cui tra l’altro dipingeva di blu modelle nude che imprimevano poi l’immagine dei loro corpi su una tela.

 

L’ultimo pigmento blu di cui desideriamo parlare è stato sintetizzato nel 2009 presso l’Università dell’Oregon da un gruppo di ricerca guidato dal professor Mas Subramanian. Questi, all’interno di uno studio per trovare materiali idonei per i circuiti elettronici dei computer, aveva chiesto ad un suo giovane collaboratore di mescolare insieme gli ossidi di Yttrio, Indio e Manganese. La miscela portata alla temperatura di 1200 °C produsse però inaspettatamente un composto di un colore blu brillante.

Anche in questo caso si può parlare di serendipità, in quanto le potenzialità di questa scoperta casuale furono rapidamente colte dallo stesso Subramanian, grazie alla sua precedente esperienza come ricercatore alla Du Pont, industria particolarmente interessata allo sviluppo e alla commercializzazione di nuovi pigmenti.

Lo studio chimico fisico del prodotto sintetizzato ha permesso di determinarne la formula

YIn1-xMnxO3

Il colore risultava legato alla presenza dello ione manganese all’interno di una struttura bipiramidale, circondato da 5 atomi di ossigeno.

Il nuovo pigmento è stato brevettato pochi anni dopo e su di esso sono stati effettuati test che ne hanno mostrato l’elevata riflettanza, che potrebbe risultare utile se usata sulle superfici esterne delle abitazioni per ridurre i costi di raffreddamento.

In campo artistico l’Azzurro YInMn per ora ha trovato qualche applicazione nelle opere di artisti locali che lo hanno utilizzato negli acquerelli.

 

Tratto da: Smith A.E. e al., 2009. Mn3+ in Trigonal Bipyramidal Coordination: A New Blue Chromophore, Journal of American Chemical Society, 131, pp. 17084-17086 https://doi.org/10.1021/ja9080666

 

La sintesi industriale dei più impiegati pigmenti e coloranti richiede una serie di sostanze chimiche tossiche tra cui, solo per citare alcuni esempi, formaldeide, ammoniaca, acido cianidrico, anilina e derivati, idrocarburi aromatici policiclici, metalli pesanti e tensioattivi, oltre ad un numero variabile di prodotti collaterali di reazione o di scarto, molti dei quali molto pericolosi per l’ambiente.

Ad esempio, il processo di produzione del denim blu è responsabile di un enorme impatto ambientale. I rifiuti chimici prodotti possono entrare nell'ambiente in almeno tre modi diversi. Il primo è durante la fabbricazione effettiva della molecola. La seconda è quando il colorante viene applicato al filato, e la terza è quando il colorante viene eluito nell'acqua di lavaggio durante il lavaggio iniziale o la lavorazione a umido del tessuto. Quest'ultimo percorso si verifica tipicamente durante la produzione di tessuto denim. In alcune parti del mondo infatti, soprattutto nelle regioni dove è maggiormente concentrata la produzione di denim (Bangladesh, India, Filippine, Cina), le acque dei fiumi che ricevono i reflui delle fabbriche di denim sono ormai completamente blu.

Occorre considerare inoltre che, per produrre un solo paio di jeans sono necessari circa 5 m3 di acqua (la quantità che beviamo in circa 2 anni e mezzo), con emissioni di gas serra analoghe a quelle di un viaggio in automobile per un centinaio di km. Senza considerare poi le condizioni di lavoro e di sfruttamento della manodopera, con salari che spesso sono ben al di sotto dei requisiti minimi di sicurezza e di sopravvivenza.

Questi rifiuti chimici possono entrare nell'ambiente in almeno tre modi diversi. Il primo è durante la fabbricazione effettiva della molecola. La seconda è quando il colorante viene applicato al filato, e la terza è quando il colorante viene eluito nell'acqua di lavaggio durante il lavaggio iniziale o la lavorazione a umido del tessuto. Quest'ultimo percorso si verifica tipicamente durante la produzione di tessuto denim.

 

 

Una possibile «futuribile» evoluzione riguarda l’impiego dei cosiddetti «Colori Strutturali», che come vedremo potrebbero rappresentare una alternativa alla sintesi dei composti con elevato impatto ambientale.

I “colori strutturali” prendono ispirazione dalla Natura (Biomimicry), che usa il fenomeno di interferenza della luce per la generazione dei colori in moltissime specie animali, come ad esempio uccelli, insetti e pesci.

Questo può avvenire in due modi: attraverso una struttura nanoscopica ordinata o cristallina, che produce colori iridescenti o metallici (basti pensare alle famose piume di pavone), che cambiano continuamente in base all'angolo da cui arriva la luce; o in alternativa (ben più di rado) per via di una struttura disordinata o amorfa, che produce colori omogenei e particolarmente intensi.

 

I colori strutturali

Le ali delle famose farfalle blu del genere Morpho sono costituite da squame disposte su più strati che riflettono selettivamente una stretta banda di lunghezze d’onda corrispondenti al blu, mentre trasmettono le altre lunghezze d'onda. In tali animali l’intensità della colorazione blu si unisce a una minima dipendenza dall’angolo di osservazione, a differenza di quanto si riscontra invece nei reticoli di diffrazione.

 

Molte specie di uccelli presentano piume iridescenti come risultato della rifrazione della luce incidente dovuto alla struttura microscopica delle proteine nelle barbule. La rifrazione scompone la luce nei suoi colori la cui percezione dipenderà dall’angolo di osservazione, dando luogo alla tipica iridescenza. I colori strutturali non iridescenti delle piume sono generati invece da nanostrutture tridimensionali di β-cheratina amorfa presenti nelle barbule.

 

Materiali caratterizzati da colorazione di tipo strutturale possono essere ottenuti tramite polimerizzazione laser-assistita (two Photon Plymerisation; 2PP) di un film di materiale fotosensibile, che permette l’ottenimento di un materiale polimerico tridimensionalmente strutturato, con elevata ed accurata risoluzione. Questa tecnica porta alla riproduzione biomimetica del materiale con la stessa colorazione e le stesse caratteristiche ottiche delle ali delle farfalle del genere Morpho, con una bassa dipendenza dall’angolo di osservazione.

 

da Zyla et al. Structural colors with angle-insensitve optical properties generated by Morpho-inspire 2PP strucrtures     https://doi.org/10.1007/s00339-020-03931-6 

Modulando la potenza della sorgente di emissione dei fotoni laser è possibile variare ad hoc la struttura fine tridimensionale del polimero, ottenendo così diverse colorazioni.

 

Fibre strutturalmente colorate

Questi innovativi tessuti, tecnologicamente avanzati, sono prodotti dall’industria giapponese Tie-in, e commercializzati con il nome di Morphotex. Anche in questo caso la realizzazione del colore è ispirata dalla Natura, come nel caso dei colori delle ali della farfalla Morpho (da cui il nome commerciale).

La struttura microscopica delle fibre impiegate (nylon e poliestere in strati alternati) e la modulazione dello spessore permette, in seguito ai citati fenomeni di rifrazione e interferenza, accompagnati da riflessione e scattering della luce incidente, l’ottenimento di tessuti di colore rosso, verde, blu e violetto. La produzione di questi tessuti può essere particolarmente interessante, non solo per il suo aspetto tecnologicamente innovativo, ma anche per il fatto che, non essendo impiegati coloranti o pigmenti nel processo di tintura, si ha un ridotto consumo energetico e un minore impatto ambientale.

 

 

Display a Modulazione interferometrica (IMOD)

La Natura è fonte di ispirazione anche per la tecnologia avanzata, come ad esempio i display a modulazione interferometrica.

Questi sono basati su sistemi microelettromeccanici in grado di generare una ampia gamma di colori sfruttando fenomeni di interferenza della luce riflessa, in modo del tutto analogo a quanto riscontrato nelle ali delle farfalle.

In questa figura è riportato lo schema di un pixel, che è realizzato per assemblaggio di vari strati, tra cui uno costituito da un film sottile parzialmente riflettente (in grigio) ed una membrana riflettente mobile (L2). A seconda della distanza tra il film sottile e la membrana riflettente, modulabile attraverso una differenza di potenziale applicata (V1 e V2, ad esempio) si hanno fenomeni di interferenza costruttiva della radiazione luminosa incidente con generazione di colore (ad esempio rosso) o distruttiva, in seguito alla quale la porzione di schermo apparirà nera.

Questa tecnologia è stata applicata dalla compagnia Iridigm Display Corp. – Qualcomm, per la produzione brevettata dei display Mirasol, come riportata nella figura.

 

 

Conclusioni

Abbiamo cercato di evidenziare il contributo che la Chimica ha dato nel corso dei secoli per la preparazione di pigmenti blu di adeguata qualità, che potessero ovviare alla scarsità naturale di materiali idonei.

In questa ricostruzione storica non ci siamo solo soffermati sul ruolo della disciplina a partire dalla sua nascita come scienza sperimentale, ma abbiamo voluto anche ricordare le procedure empiriche precedenti che per molti secoli furono seguite per ottenere i pigmenti blu utilizzati nelle varie opere policrome.

Riflettendo su quanto da noi raccontato ed esaminato, possiamo affermare che c’è in fondo un qualcosa che accomuna i vari passi della nostra narrazione. Alla base della preparazione di tutti i materiali da noi descritti, c’è sempre una analoga innata curiosità, volta ad osservare la materia e le sue proprietà, unita all’ambizione di poter ottenere, attraverso le proprie manipolazioni, nuovi e migliori prodotti, di poter dominare la materia, trasformandola secondo i propri bisogni.

Questa, al di là ovviamente delle incomparabilmente diverse condizioni teoriche e sperimentali, può essere una caratteristica che rende simili i chimici moderni nei loro laboratori e gli oscuri artigiani nelle loro antiche officine.

Un ultimo sguardo è stato dato, infine, ai possibili sviluppi ed applicazioni delle nuove tecnologie che, prendendo spunto dalla Natura, offrono una promettente evoluzione nel campo dei colori, con una maggiore attenzione ed impegno verso l’ambiente.

Del resto questo è comunemente considerato uno dei principali presupposti della moderna chimica sperimentale. Anche i chimici di oggi come gli alchimisti-artigiani di un tempo, hanno tra i loro scopi quelli descritti da Vannoccio Biringuccio nel suo “De la Pirotechnia” cinquecento anni fa, vale a dire partorire “nuovi e bellissimi effetti, oltre all’essere molto utile all’uso e commodità humana, come sono le estrattioni di sostantie medicinali e delli colori, e delli odori, e d’infinite compositioni di cose”.

Tra tutte le molteplici radici da cui è certamente nata la Chimica moderna, questa è forse quella che appare ai chimici moderni più famigliare, quella di cui sentono più orgogliosamente gli eredi.

 

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